ELDORADO

Trappola per turisti. In tutti gli alberghi di Bogotà, in Colombia, è espo­sto un cartello che invita i turisti a visitare l'Eldorado. Il costo del viaggio in Taxi verde (un'autopubblica riservata a escursioni turistiche) non è alto, ma se deciderete di compierla avrete egualmente una delusione. Ciò che i tassisti vi mostreranno dopo avervi accompa­gnato a tre/quattro ore fuori dalla città non è la leggendaria città d'oro, bensì un lago chiamato Guata­vita. E per di più non si tratta neppure del vero lago, ma di uno specchio d'acqua artificiale creato da una diga sul fiume Tominè. Nemmeno il paese di Guatavita è "vero"; è infatti una moderna ricostru­zione in stile "Porto Cervo" di un piccolo centro che ora giace sotto le acque del bacino.
Il vero lago di Guatavita vi spiegherà il tassista si trova "più sopra", a qualche ora di cammino; "comunque" continuerà la vostra guida "non è particolar­mente interessante da vedere". E in effetti non lo è: dopo una lunga salita resa ancor più faticosa dall'aria rarefatta dell'altopiano an­dino potrete ve­dere un laghetto molte volte meno spettacolare di quello di Carezza e molte volte meno inquietante di quello di Bolsena. Eppure qui si celebrava, secoli fa, il rito dell'El Dorado, "Il dorato"; una cerimonia suggestiva e che, effettivamente, implicava il sacrificio di una certa ricchezza, e che tut­tavia non giustificava gli incredibili sforzi e l'enorme spargimento di sangue che riuscì a scatenare nel giro di pochi decenni.

L'uomo dorato.
Nei territori ora occupati dagli attuali Colombia, Perù e Ecua­dor l'oro era un materiale, se non proprio comune, certo meno raro che in Europa. Più che per il suo va­lore monetario (determinato dalla mag­gior o minor abbondanza di un prodotto) era apprezzato sia per la sua bellezza intrinseca sia per il suo significato simbolico. Combinando i quat­tro elementi (la roccia aurifera, ovvero la terra, l’acqua, il fuoco, l'aria), la materia bruta può trasformarsi in un metallo scintillante; così anche l'uomo, sfruttando correttamente le forze della natura, può passare dallo stadio primitivo a quello di essere superiore. A simboleggiare questo pas­saggio lo Zipa, grande sacerdote delle tribù dei Chibcha, interpretava una singolare cerimonia. Completamente nudo, veniva ri­coperto di una spe­ciale resina chiamata Varniz de Pasto; quindi gli veniva soffiata addosso della pol­vere d'oro per mezzo di una piccola cerbottana. Così splendente e dorato (da cui il nome El Dorado) raggiungeva il centro del lago di Gua­tavita e vi si immergeva quando il sole era allo zenit; in quel momento i suoi sudditi gettavano nelle acque oggetti votivi di ogni genere, spesso rea­lizzati in oro.

La città d'oro. Era il 1520. Il Conquistador Hernan Cortèz, tornato in Eu­ropa dopo la conquista del Messico, aveva descritto al re di Spagna la ma­gnificenza dei TESORI di Montezuma: "Un disco a forma di sole, grande come la ruota di un carro e d'oro finissimo...Venti anatre d'oro di squi­sita fattura... Ornamenti a forma di cani, tigri, leoni, scimmie". Un inven­tario che sembrava inesauribile e che fece nascere la convin­zione che esi­stesse una terra ove l'oro era comune come le rocce. Parallelamente, la no­tizia di un "uomo d'oro", l'Eldorado, cominciava a ingigantirsi e ad assu­mere toni di leggenda. Ben presto la voce che in Sudamerica o in America Centrale si trovava un territorio chiamato Eldorado ove le strade e i tetti delle case erano lastricati del prezioso metallo. Tra il 1529 e il 1616 sei spe­dizioni (guidate da Ambrosius Dalfinger, Nicolaus Federmann, Georg Hohermuth, Seba­stian de Belalcazar, Gonzalo Jimenez de Quesada, Walter Raleigh), partirono alla ricerca di inesistenti città d'oro (a Eldorado si era aggiunta Ma-Noa, mitica "isola in un gran lago salato").

Centinaia e centinaia di indios furono torturati e uccisi perchè rivelassero ciò che non sapevano; centi­naia di conquistadores persero invano la vita nella foresta o sugli impervi sentieri andini. E il sogno dell'Eldorado conti­nua in tempi recenti. Nel 1927 il colonnello Percy FAWCETT perì misterio­samente in Mato Grosso (Brasile) durante la ricerca della misteriosa Zeta, una città posta in cima a una montagna che l'esploratore inglese identificava non soltanto come il regno dell'Uomo Dorato, ma an­che come una colonia avanzata di ATLANTIDE.