L'enigma di Palenque: Re o Astronauta ?

( di Mario Pagni)

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L' enigma della lastra tombale del Tempio delle Leggi o delle Iscrizioni di Palenque, un'antica città Maya situata quasi nel baricentro geografico della penisola dello Yucatan, dal momento della sua scoperta ha fatto veramente parlare molto di sé. Non si è trattato infatti di un semplice (anche se oltremodo interessante) ritrovamento archeologico, bensì di una vera e propria curiosità scientifica.

Gli studiosi che l'hanno esaminata (a cominciare dallo scopritore, l'archeologo messicano Alberto Ruz Lhuillier) sono tutti rimasti piuttosto perplessi ; non tanto per la traduzione dei geroglifici (peraltro numerosissimi) quanto per l'interpretazione di ciò che raffigurava il bassorilievo stesso, datato intorno al 690 d.C.
La strana immagine, per entrare subito nel merito della questione, ha in effetti fatto galoppare alquanto la fantasia: non solo quella di chi si occupa della cosiddetta archeologia spaziale, ma anche quella di noti e preparati archeologi, tanto essa risulta emblematicamente rappresentativa; in altri termini il fatto è che per chiunque la osservi non vi sono troppi dubbi; si tratta apparentemente della raffigurazione, in sezione, di un astronauta vissuto in tempi remoti a bordo della sua navicella spaziale gettosostentata. Per quanto ci riguarda proveremo dunque in questa sede ad analizzare con metodo chiaro e imparziale tutta la questione partendo da un minimo inquadramento storico relativo alla scopertasia del tempio che della tomba, onde passare poi al dettaglio descrittivo e alle varie interpretazioni più o meno giustificabili di ciò che visivamente risultapercepibile.

La scoperta del Tempio

Nell'Aprile del 1840, John Stephens, un avvocato americano, e il disegnatore inglese Frederick Catherwood, erano in marcia nella terribile giungla dello Yucatan, a circa 500 chilometri di distanza dall'antica città di Copan, un altro importante insediamento del popolo Maya. I due (essendo stati preceduti nel secolo precedente soltanto da spedizioni militari spagnole) non avevano con loro né dati né carte sufficienti per localizzare con precisione Palenque.
Fu quasi un caso, quindi, il comparire improvviso fra la fitta vegetazione del primo lastricato stradale che li avrebbe condotti fino alla pane centrale e più significativa dell'antica città. Fra meraviglia e stupore si rivelava così ai loro occhi una serie di edifici ammantati di vegetazione, testimoni secolari della misteriosa civiltà. Stephens e Catherwood non tardarono a localizzare anche il Tempio delle Leggi o delle Iscrizioni, ma non si accorsero delle reali funzioni dell'edificio che nascondeva, nelle sue fondamenta, la tomba di un Re. Fu nel giugno del 1952, esattamente centododici anni dopo quella spedizione, che un altro archeologo messicano, Alberto Ruz Lhuillier, durante una campagna di scavo e restauro fra le rovine di Palenque, poté scendere nell'interno della costruzione fino quasi alla base e scoprire la tomba che fu poi battezzata del «Vero Uomo» o (con maggior fantasia) dell'«Astronauta».

La piramide fu comunque datata al VII sec, d.C. risultanto quindi edificata nel pieno del periodo classico, quello cioè del massimo splendore della civiltà Maya. Fino a quel momento, però, era pressoché sconosciuto l'uso funerario delle piramidi americane; anzi nel paragone con quelle egiziane, la differenza che per prima veniva evidenziata da parte degli studiosi, era proprio quella; che ci si trovava di fronte a templi nel primo caso, ed enormi edifici costruiti intorno alla camera funeraria del faraone nel secondo.
Questa interpretazione, di carattere soprattutto funzionale, era stata per lungo tempo persuasiva: infatti nessuna delle piramidi americane conosciute aveva rivelato carattere sepolcrale; è vero che si erano scoperte, in esse, certe piccole camere, ma sempre vuote. Dopo un lungo lavoro di disboscamento che rivelò la costruzione al completo (una piramide a otto gradini sormontata da una struttura colonnata o porticata di tipo templare), fu decisa come abbiamo detto l'esplorazione dell'interno. Mentre Alberto Ruz e gli altri studiavano e disegnavano la pavimentazione all'interno del tempio, furono notati dei fori su alcune delle lastre che la costituivano; fori che avevano la giusta misura per infilarci le mani e sollevarle.

Compiuta l'operazione, agli occhi degli archeologi si mostrò l'accesso ad una scala squisitamente lavorata e in ottimo stato di conservazione. Dopo aver disceso 45 gradini, gli scienziati pervennero ad un pianerottolo sul quale si aprivano due pozzi destinati un tempo, con tutta probabilità, all'entrata sia della luce che dell'aria. Dopo altri il gradini glì scavatori si trovarono davanti un corridoio orizzontale sbarrato da un muro; rimosso anche questo ostacolo, apparvero sparsi a terra, un po' dovunque, vasi, oggetti di giada ed anche una perla. La presenza di questi reperti assumeva importanza determinante nella circostanza, sopratutto perché ricordavano i doni sacrificali posti davanti o comunque in prossimità delle celle funerarie egizie.

Le prime ipotesi che in tal senso furono avanzate trovarono pressoché immediata conferma allorché, nel corridoio antistante la vera cella funeraria, furono rinvenute le ossa di sei individui, cinque uomini e una donna, probabilmente sei giovani nobili sacrificati o sacrificatisi a custodia di qualcosa di molto importante.

Anche l'ultimo ostacolo, una sorta di porta blindata, venne quindi rimossa, stavolta facendola ruotare. Gli archeologi si trovarono così davanti uno spettacolo a dir poco suggestivo; una cripta funeraria vera e propria che la stessa madre natura aveva adornato con eleganti stalattiti e stalagmiti, effetto del secolare stillicidio d'acqua che vi penetrava. Gli studiosi quotarono l'ambiente rispetto al loro punto di partenza (sulla parte alta della piramide) a meno 24 metri, ma soltanto due metri sotto il piano di calpestio esterno alla base della costruzione. La stanza aveva una misura di nove metri di lunghezza per quattro di larghezza, con una altezza al centro di circa sette metri; sulle pareti, decorate a stucchi ma abbastanza deteriorate, comparivano ancora le figure dei nove Sacerdoti delle Tenebre, i guardiani dei nove Mondi Inferi della mitologia Maya. In mano alcuni di essi (tre sono seduti e gli altri in posizione eretta) tengono uno strano oggetto interpretato come uno scettro, mentre sulla bocca presentano invece un altro strano oggetto stavolta di forma rettangolare (del quale però non è stata fornita nessuna spiegazione o funzione).

La pietra sepolcrale

Ma eccoci finalmente all'oggetto del nostro problema: aI centro della cripta l'enorme monumento composto dalla pietra sepolcrale e da un blocco monolitico sostenuto da sei supporti anch'essi monolitici, di cui quattro interamente scolpiti. La lastra, ben profilata, aveva una misura di metri 3,80 di lunghezza per 2,20 di larghezza e uno spessore di 25 centimetri, e ne fu calcolato anche il peso (intorno alle 5 tonnellate). Tutti questi dati possono risultare aridi e non sufficientemente pertinenti alla questione principale che andremo ora ad esaminare. Al contrario noi riteniamo quanto mai utile e doveroso un minimo inquadramento generale, sia storico che descrittivo, per poter comprendere meglio tutto il resto.

Attorno all'orlo del grosso lastrone del quale abbiamo detto, dunque, correva un'iscrizione pressoché indecifrabile, ricca di segni e simboli; in essi si riconobbero, ricavandole a fatica, tredici date che permisero comunque, di fissare l'opera al 692 d.C. e risalire al nome del defunto, il re-sacerdote Pacai. Sulla superficie di pietra era invece scolpita l'immagine di un uomo (e fu qui che le cose si complicarono oltre il limite abbastanza preciso della conoscenza dell'Archeologia nel senso classico del termine); quell'uomo infatti era seduto o meglio quasi coricato in avanti e sembrava caratterizzato, dalla tipica posizione di un moderno pilota o astronauta. Dalle narici (alle quali sembrava applicato un respiratore) fuoriuscivano infatti dei tubicini collegati al restante incredibile macchinario. Le mani dell'individuo stringevano poi come dei comandi e delle leve proprio come noi oggi le intendiamo. L'involucro che lo conteneva, infine, appariva con impressionante somiglianza come l'interno di una navicella spaziale vista in sezione, e per concludere questa prima sommaria ma pur sempre sconcertante descrizione, proprio alle spalle del presunto «antico astronauta» erano stati scolpiti dall'autore del bassorilievo, persino quelle che sembravano le infuocate vampe di scarico posteriori che, in un moderno mezzo gettosostentato, servono ad imprimere la spinta sufficiente (mediante la propulsione a reazione) per poter consentire al sistema di levarsi in volo.

In un attimo per i membri della spedizione sembrò che il passato, il presente ed il futuro, fossero divenuti un unico momento, ma come potevano dunque i Maya descrivere ciò che soltanto oggi ci è dato conoscere? Chi era dunque quello strano individuo che sembrava pilotare a tutti gli effetti un'astronave? Per saperne di più non rimaneva a questo punto che aprire quel sarcofago per osservarne il contenuto con grande attenzione.

L'uomo misterioso

L'interno della cavità si presentò così completamente intonacato di rosso cinabro, e accoglieva lo scheletro di un uomo di circa 40-45 anni di età e alto 1 metro e 73 centimetri, giacente in posizione normale e senza tracce apparenti di lesioni. Il teschio, parzialmente decomposto a causa dell'umidità, era ricoperto in parte da una maschera a mosaico, fatta con tessere di giada verde, che ne riproduceva con fedeltà i tratti del volto. L'uomo aveva una anello di giada ad ogni dito delle mani mentre ai polsi portava dei bracciali piuttosto alti, composti da 200 perline. Anche il collo e le cavigliie erano ornati da perle di vario genere e pietre dure. Fra gli altri monili rinvenuti nella tomba, un pettorale incuriosì gli archeologi particolarmente; esso era composto da nove cerchi concentrici, ognuno dei quali costituito da 21 perle, con in più, al centro, un'enorme falsa perla ottenuta con l'unione di due ostriche perlifere.

Nella bocca infine, e più precisamente proprio nell'interno della cavità orale, fu rinvenuto un grano di giada scura che (secondo il culto del popolo Maya), doveva servire al defunto per l'acquisto degli alimenti nell'altro mondo. L'Halah LLinic (come fu chiamato il misterioso personaggio, letteramente un «vero uomo») stringeva nella mano sinistra una perla sferica e nella destra una cubica.
Il sarcorfago, nel suo insieme, risultò collegato alla soglia della cripta con una strana modanatura di calce, che si trasformava poi addirittura in una condotta vuota. Questa seguiva le scale fino al congiungimento con la lastra rimossa dagli archeologi sul pavimento del tempio nel momento in cui fu iniziata l'esplorazione dell'interno della piramide; una sorta di collegamento magico fra il sepolto (un probabile principe divinizzato), e l'Ah Kin Mai, ovvero il sommo sacerdote. Niente di troppo anormale quindi nell'interno come ci si sarebbe aspettati da quell'incredibile bassorilievo sul coperchio.

Comunque sia, la distribuzione degli oggetti sul corpo del defunto assumeva significati abbastanza insoliti e particolari, sopratutto dal punto di vista simbolico. Ciò che egli stringeva nelle mani, assiema ai curioso pettorale, sembrava infatti poter anche suggerire l'ipotesi di un misterioso naufrago spaziale, specie a chi avesse voluto interpretare gli oggetti come una sorta di rappresentazione geometrica a scala ridotta del nostro sistema solare. Fantasie?

La spiegazione ufficiale

Il bassorilievo del lastrone di copertura della tomba viene normalmente interpretato come la raffigurazione, di tipo simbolico-religioso, del «Mostro della Terra», una divinità con sembianze di grosso rettile o dragone che si nutre dei corpi dei defunti, quasi con la funzione di riassorbirli nel proprio interno (così come da esso un tempo sono stati generati). La scena è arricchita ovunque da molte altre allegorie simboleggianti l'Albero della vita, il mais, l'acqua, il fulmine, il sole e la luna e l'onnipresente «quetzal» una sorta di grosso pappagallo ritenuto un uccello sacro. Se proviamo per un attimo ad osservare altri numerosi esempi dell'arte della raffigurazione simbolica del popolo maya, potremo facilmente ritrovare molti degli elementi che costituiscono proprio la lastra tombale di Palenque; questo non perché in altri casi si sono voluti esprimere gli stessi significati, bensì perché ci troviamo di fronte ad una specie di -alfabeto figurato componibile, in grado di essere costruito a seconda delle esigenza proprie del significato stesso.

Questo però non può e non deve spiegare in nessun modo quello che è il risultato finale della composizione stessa, che nel caso in questione continua ad essere almeno estremamente curiosa.

Esistono anche altre testimonianze curiose dal punto di vista della rappresentazione figurata a Palenque come il famoso «guerriero», un personaggio scolpito su una stele, riccamente parato e con in mano uno strano oggetto che potrebbe raffigurare tranquillamente un moderno fucile mitragliatore o un lanciafiamme. Le caratteristiche somatiche poi appaiono identiche a quelle del nostro «astronauta».

Qui il discorso ci porterebbe ancora più lontano complicandosi oltremisura; ci basti tener presente che il nostro non è certo l'unico e più significativo esempio di un'arte che sembra testimoniare non solo un passato ma anche un futuro, il nostro.
Se prima di concludere ci voltiamo per un attimo a guardare di nuovo il bassorilievo ci viene spontanea un'altra considerazione: e cioè il fatto che in questo, come in altri casi la spiegazione data dalla scienza ufficiale (nella fattispecie l'archeologia), sembra in effetti non solo meno credibile, ma anche più curiosamente divertente e forzata di quella dei sostenitori della cosiddetta «archeologia spaziale». Concludendo non possiamo non aggiungere, schierandosi per un momento con questi ultimi, che Palenque, è solo il nome dato dagli spagnoli durante il. loro dominio alla località, ma che il nome antico della città era «Na Chan Caan», letteralmente «La Casa del Serpente Celeste».
Una coincidenza? Ma concludiamo con una unica doverosa citazione. Come rileva G. Mondalesi nel suo «Palenque... 20 tonnellate di mistero», «perché un'idea venga ufficializzata occorre tempo, ma ci pare estremamente contraddittorio il comportamento che porta l'Uomo a spedire nello spazio una sonda con sopra la targhetta 'messaggio' alla ricerca di una civiltà extraterrestre, quando non si riesce a vedere quelle che si hanno in casa propria».

(Fonte : Il Giornale dei Misteri n. 214

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Immagini disponibili:

- Il disegno della pietra sepolcrale dell' uomo di Palenque - 60Kb - .
- Lo spaccato assonometrico del Tempio delle Leggi - 41 Kb -.
- Il guerriero - 53 Kb -.

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