ARTÙ
Il re dei "serial"
Nessun personaggio reale o di fantasia può rivaleggiare in popolarità con il
più famoso sovrano di tutti i tempi: Re Artù, protagonista, insieme ai
suoi "Cavalieri della Tavola Rotonda" di un "corpus" di
narrazioni forse ancor più sterminato di quello biblico. Leggende, racconti,
romanzi, poemi, fumetti, drammi, commedie, melodrammi, film, telefilm, disegni
animati, videogiochi, software, e poi pittura, scultura, architettura: non
esiste "medium" o arte applicata a cui Re Artù non sia approdato nel
corso della sua lunghissima esistenza: dalla fine del XII secolo, la produzione
di nuovo materiale arturiano continua con immutato successo. Alla creazione del
più lungo "serial" della storia hanno contribuito anonimi artigiani e
grandi artisti: tra i nomi degli autori più recenti - pescati a caso da una
vastissima bibliografia - spiccano quelli degli scrittori e poeti Guillaume
Apollinaire, Gilbert K. Chesterton, Pierre Benoit, Jean Cocteau, C. S. Sinclair
Lewis, John Masefield, John Steinbeck, Lord Alfred Tennyson, Mark Twain,
Charles Williams, T. H. White, dei pittori Audrey Beardsley, Gustave
Dorè, Howard Pyle, Dante Gabriel Rossetti, del musicista Richard Wagner,
dei registi John Boorman, Robert Bresson, Eric Rohmer, Walt Disney, Terry Gilliam
e George Lucas. La "International Arthurian Society" ha
catalogato circa quindicimila saggi dedicati al personaggio.
La saga di Artù e dei suoi cavalieri è stata trasferita nel mondo moderno (come
ne La terra desolata di Thomas Stearns Eliot) o in quello
futuribile della fantascienza e della fantasy (da Paul Anderson e Roger
Zelasney); è stata interpretata in chiave esoterica, religiosa, psicanalitica,
politica, satirica. Insomma - come testimoniano i numerosi rimandi ad altri
argomenti che compaiono in questa voce - Re Artù è al centro di un vastissimo e
variegato universo, e, millequattrocento anni dopo la sua "nascita",
continua a essere - come è scritto su una lapide ad Avalon - "Rex Quondam,
Rexque Futurus" Re una volta, Re per il futuro.
L'orso e la pietra
Per alcuni studiosi, Artù è un personaggio ispirato a Cu Chulainn ,
protagonista di poemi epici irlandesi; per altri un dio del pantheon celtico,
forse il simbolo della terra stessa (Art = roccia, da cui Earth ),
poi trasformato dalla leggenda in un essere umano. C'è invece chi ritiene che
sia esistito veramente: nel VI secolo d.C. fu forse il Re o il capo di una
tribù Britannica impegnata nella resistenza contro gli invasori Sassoni.
Purtroppo dell'Art ù storico - se mai c'è stato - si conosce ben poco: lo
stesso nome "Arthur" (così si chiama in Inglese) non fornisce
indicazioni sulla sua origine. Potrebbe derivare dal latino Artorius
(in tal caso Artù era forse un Comes Britanniarum , ovvero un
rappresentante locale dell'Impero Romano), dal celtico Artos Viros
o dal corrispondente gaelico Arth Gwyr ("Uomo Orso"), o
ancora dal già citato Art (Roccia in irlandese). Un
principe britanno chiamato "Arturius figlio di Aedàn mac Gabrain Re di
Dalriada" è citato dall'agiografo Adomnan da Iona nella Vita di San
Colombano (VIII secolo); nella Historia Brittonum (IX secolo) lo
storico Nennio racconta che il dux bellorum Artorius uccise
personalmente novecentosessanta Sassoni durante la battaglia di Mons Badonis
(Bath?); gli Annales Cambriae (X secolo) descrivono la sua morte e
quella del traditore Medraut ("Mordred") nella battaglia di Camlann
nell' "Anno 93" (539 d.C.?); ma altri storici dell' epoca, tra cui
Gildas e il Venerabile Beda, non fanno alcun cenno a un condottiero chiamato
Artù.
All'Artù storico sono stati attribuiti convenzionalmente una data di
nascita e di morte (475-542 d.C.), ma c'è chi lo identifica con personaggi
più antichi: secondo Geoffrey Ashe poteva essere Riothamus, Re britannico
del V secolo; per B. Le Poer Trench si trattava del ribelle Arviragus, che
combattè contro i Romani nel I secolo; questi avrebbe dato inizio a
una stirpe di differenti Artù, Sacerdoti del Culto della grande
madre. Tra i molti eroici guerrieri che si alternarono alla Tavola Rotonda
(poi il loro numero venne fissato a ventiquattro o a dodici) solo Drustan
(Tristano) è esistito veramente: era figlio di Re Cynfawr, e i resti
del suo castello si possono ancora ammirare sulla collina di Castle Dore,
in Cornovaglia.
La ricerca delle prove storiche dell'esistenza di Artù continua, appassionata e
ininterrotta, fin dal 1190, quando i monaci di Glastonbury identificarono la
sede della loro Abbazia con la mitica Avalon, ove il sovrano era stato
trasportato dopo essere stato mortalmente ferito a Camlann. I luoghi e i tempi
delle imprese di Artù variano di narrazione in narrazione, e spaziano dal
Galles, alla Cornovaglia, all'estremo nord dell'Inghilterra, rendendo le
indagini particolarmente complesse. Il volume The Quest for Arthur's Britain
di Geoffrey Ashe propende a identificare Avalon con Glastonbury e Camelot - il
mitico castello dei "Cavalieri della tavola Rotonda" - con la
fortezza neolitica di Cadbury, ai confini tra il Somerset e il Dorset. Esistono
tuttavia molte altre collocazioni diverse: Sir John Rhis elenca dieci possibili
"isole di Avalon" (Glastonbury, Gower, Aberistwyth, Gresholm, Shilly,
Bardsey, Puffin, Man, Tory, Anglesey), ma il leggendario luogo di sepoltura di
Artù è stato identificato anche con una "Avallon" in Burgundia, e
persino con la Sicilia (da Gervase di Tilbury e dall'anonimo autore del romanzo
Floriant et Florete, 1250). In King Arthur (Il mito della
Tavola Rotonda, 1986), la ricercatrice Norma Lorre Goodrich rifiuta
recisamente la tesi di Glastonbury, e sostiene che Avalon è il castello di Peel
nell'Isola di Man; Camelot sarebbe invece il castello di Greenan, a nord di
Glasgow. L'edificio è da tempo di proprietà dei Kennedy, cosicché, per un certo
periodo, la stampa ha diffuso la notizia che il defunto presidente era
discendente di Re Artù.
Il signore del Galles
Arthur diventa protagonista o comprimario di narrazioni gallesi intorno al 600
d.C.; in un poema del ciclo Gododdin attribuito al bardo Aneirin è
descritto come un guerriero invincibile, una sorta di "Conan" ante
litteram. Preiddeu Annwn ("Il sacco dell'Inferno"), The
Black Book of Carmanthren e Culhwch ut Olwen sono racconti tratti
dai lai (cantate ) dei Bardi messi per iscritto soltanto intorno al
XII secolo, ma che riferiscono narrazioni celtiche del VII-VIII secolo; nel Preiddu
Annwn, attribuito al bardo Taliesin, Artù discende agli inferi per
recuperare un magico calderone; in The Black Book of Carmanthren si
afferma per la prima volta che nessuno sa dove si trovi la sua tomba; in Culhwch
ut Olwen, uno degli undici racconti in lingua gaelica che compongono la
raccolta Mabinogeon, aiuta il nipote Culhwch a superare quaranta prove
per garantirsi la mano della figlia del gigante Ysbaddadenvi. Qui Artù è già
circondato dalla sua corte, composta da Gwenhwyfar (Ginevra), Myrddin
(Merlino), Keu (Kay), Bedwyr (Bedivere o Beduero), Gwalchmai (Gawain), Owein
(Ivano), Medrawt (Mordred). Tradizioni (orali) a proposito dell'Artù celtico si
sono sviluppate in un'epoca imprecisata (e probabilmente, posteriore a quella
dei miti gallesi) anche in Bretagna, dove i Cavalieri giungevano
dall'Inghilterra camminando su un ponte di isole (?). Un famoso luogo
arturiano, la foresta di Broceliande, è stato localizzato con una certa
sicurezza presso Paimpont, nel Pays de Rennes; qui si trova anche una chiesa
nota popolarmente come l'Eglise du Saint Graal . I Cavalieri della tradizione bretone sono Ban de Benoic, Bonhor de Gannes, Hector
des Mares e Guivret de Lamballe.
Il signore di Camelot
Nell'XI secolo Artù era considerato dagli inglesi un eroe nazionale, e le sue
imprese - diffuse dalle cantate dei Bardi - erano note non solo in Gran
Bretagna, Irlanda, nord della Francia, ma anche nella lontana Italia: lo
dimostra un bassorilievo sulla "Porta della Pescheria" del Duomo di
Modena realizzato intorno al 1120 (e cioè con almeno dieci anni di anticipo sul
ciclo di narrazioni scritte) in cui sono raffigurati "Artus de
Bretania", "Calvagin" (Gawain), "Galvarium" (Galeron)
e altri cavalieri. Ma l'Artù celtico-britannico era un personaggio che i romani
avrebbero definito "un barbaro": un Re robusto e coraggioso quanto
rozzo e incolto: la sua notorietà internazionale impose - come diremmo oggi -
un'operazione di "rinnovamento dell'immagine" allo scopo di
nobilitare la sua figura.
Fu l'inglese Geoffrey di Monmouth a dare il via al processo che avrebbe
trasformato Re Artù da monarca "barbaro" a simbolo messianico di
Re-Sacerdote e unificatore globale, e i suoi cavalieri in un perfetto modello
per le istituzioni cavalleresche medioevali. Tra il 1130 e il 1150, nell' Historia
Regum Britanniae, nelle Prophetiae Merlini e nella Vita Merlini,
Geoffrey tracciò una precisa quanto fantasiosa genealogia del sovrano, recuperò
e interpretò in chiave cristiana (e non più celtica) Merlino e gli altri
comprimari, e pose alcuni capisaldi del futuro ciclo, battezzando, per esempio,
"Avalon" il sepolcro da cui Artù sarebbe risorto " quando
l'Inghilterra avrebbe avuto ancora bisogno di lui ".
Più che nella nativa Inghilterra, la cosiddetta "Materia di Bretagna"
conobbe il massimo sviluppo oltre Manica, presso la corte anglo-normanna dei
Plantageneti. Le ragioni dell'attrazione esercitata sui francesi nei confronti
di un mito "estraneo" sono state a lungo discusse, senza mai arrivare
a una spiegazione univoca; non è impossibile che certi autori abbiano voluto
entrare in contrapposizione con la popolare "Materia di Francia",
dedicata a Carlo Magno e Orlando.
Nel 1155 Robert Wace terminò il primo poema del ciclo, Le Roman
de Brut: si trattava di una traduzione in normanno dell'Historia Regum
Britanniae, ripulita dai particolari più crudi (non si dice, per
esempio, che durante la guerra contro gli Scoti e i Pitti, Artù "li
assediò per quindici giorni facendoli morire di fame a migliaia",
e poi "si abbandonò a indicibili violenze senza risparmiare quelli
che cadevano nelle sue mani"), e integrata con altri elementi (fu Wace
a menzionare per la prima volta la "Tavola Rotonda"). Verso il 1190
Chretien de Troyes, nel poema (incompiuto) Perceval le Gallois ou le Conte
du Graal, introdusse nella "materia" il tema della "Cerca
del Graal". Chretien battezzò "Camelot"
la reggia di Artù, e inventò alcuni grandi protagonisti del
ciclo: il già citato Percival, e Lancillotto, eroe del Lancelot,
ou Le Chevalier de la Charrete. Le opere del cosiddetto "Ciclo della
Vulgata" (la Queste del Saint Grail e la Mort Artu, attribuite
a Walter Map, il Joseph d'Arimathie ou Estoire del Sant Graal e l'
Estoire de Merlin attribuite a Robert de Boron e altre narrazioni in
versi o in prosa), scritte tra il 1200 e il 1215, arricchirono ulteriormente
la saga; nello stesso periodo nuove avventure del Re e dei suoi cavalieri
cominciarono a venir prodotte autonomamente in vari paesi d'Europa. Proprio
un poema "straniero" - il Parzival, scritto intorno al 1210
dal tedesco Wolfram Von Eschenbach - privilegiò per primo gli elementi
esoterici e simbolici del ciclo nei confronti di quelli avventurosi.
L'epopea arturiana venne definitivamente messa a punto verso il 1450, ne Le
Morte Darthur di Sir Thomas Malory. Qui si trovano tutti gli ingredienti
alla base di centinaia di opere successive (tra cui il bel film Excalibur
di John Boorman): la nascita di Artù da Ygerne e Re Uther Pendragon;
la tutela da parte di Merlino, l' ascesa al trono dopo aver estratto la spada
dalla roccia; la vicenda dell'Excalibur, la più famosa delle spade
incantate; l'istituzione della Tavola Rotonda a Camelot, l'amore proibito
tra Lancillotto e Ginevra, la nascita di Mordred, concepito da un rapporto
incestuoso tra Artù e la sorellastra Morgana; l'avvento del Wasteland
o "terra desolata"; la ricerca del Graal
da parte di Percival e Galahad, che lo ritroverà; la morte di Artù
nella battaglia contro Mordred e il suo trasferimento ad Avalon.
L'inquietante Merlino
La denominazione Merlinus venne utilizzata per la prima volta da
Geoffrey di Monmouth nell'Historia Regum Britanniae, nelle Prophetiae
Merlini e nella Vita Merlini, ma il personaggio era già noto nelle
tradizioni celtiche come Myrddyn , dal nome della città di
Caermyrddyn dove era nato; nella latinizzazione, Geoffrey sostituì la /d/ con una/l/, altrimenti
ne sarebbe uscito un appellativo scatologico.
Il Merlino storico visse probabilmente nel VI secolo; era un Bardo gallese -
identificato da alcuni storici con un altro famoso Bardo, Taliesin -
specializzato in testi profetici. La sua vita - almeno secondo le incerte
cronologie del basso medioevo - fu incredibilmente lunga, tanto che certi
commentatori ritengono che siano esistiti due Merlini diversi. Myrddyn era
stato infatti consigliere di Re gallese Vortirgern, personaggio storico che
regnò intorno alla metà del V secolo, e, più di cent'anni dopo, aveva
combattuto a fianco di Re Gwenddolau contro Rhydderch il Generoso nella
battaglia (perduta) di Arfderydd (575); vuole la tradizione che il mago,
impazzito dal dolore per la sconfitta, si fosse di seguito ritirato in una
foresta per non mostrarsi più tra gli uomini. Della produzione letteraria di
Merlino resta un solo frammento dell'opera Afallenau: la strofa di una
profezia in un arcaico dialetto gaelico che nessuno è mai riuscito a tradurre:
Saith ugein haelion a aethant ygwyllon |
Fu il Vescovo Alessandro di Lincoln a richiedere a Geoffrey di "prophetias
Merlinide Britannico in latinum transferre", ovvero di tradurre le profezie
dal gaelico al latino, e, difatti, le Prophetiae Merlini (che, molto
probabilmente, l'autore aveva reinventato) sono precedute da una dedica all'alto
prelato. Forse proprio grazie all'autorità del committente, la Chiesa
Cattolica considerò Merlino un profeta "cristiano" e degno
di rispetto; del resto, nella saga arturiana, è proprio il mago a innescare
il processo che permette "al dio Unico di cacciar via i molti Dèi
celtici" (la frase è tratta dal film Excalibur). Secondo
Geoffrey, i poteri magici di Merlino hanno un origine diabolica. Un assemblea
infernale - racconta la Vita Merlini - ordisce un complotto per generare
una sorta di Anticristo destinato a diffondere il male nel genere umano. A
questo scopo, la figlia di un ricco mercante viene posseduta nel sonno da
un "Incubo", ma rivela quanto è accaduto al confessore: questi
traccia sul suo corpo il segno della croce, così, quando il bimbo nasce,
è irsuto come un demone, ma non ha il desiderio di fare del male. Dal
padre Satana, Merlino ha ereditato la capacità di conoscere il passato;
Dio stesso, attraverso la madre, gli ha conferito il potere di prevedere il
futuro. Molti anni più tardi, diventa consigliere di Re Vortingern,
che libera da due draghi, poi di Re Uther Pendragon; questi si innamora della
virtuosa Ygerne, moglie del Duca di Tintagel, la quale non ricambia le sue
attenzioni. Il mago fa allora in modo che il suo protetto assuma magicamente
l aspetto del Duca: così, grazie a questo inganno, Uther concepisce
Artù, che Merlino prende sotto la sua tutela finché diviene
Re dei Britanni. Dopo l'unificazione dell'Inghilterra, Merlino rivela al sovrano
la sua missione più importante, la ricerca del Graal; viene poi imprigionato in una tomba di cristallo da
Nimue o Viviana, la "Signora del Lago" (da alcuni "unificata"
con Morgana); ma continua a vivere "su un altro piano" dopo la morte
di Artù. Secondo Geoffrey, Merlino è anche il responsabile della
presenza del complesso megalitico di Stonehenge nella piana di Salisbury, dove l'avrebbe
trasportato per mezzo delle sue arti magiche.
Morgana l'ncantatrice
Morgan Le Fay (Morgana), personaggio direttamente derivato dalle divinità
Morrighan, Macha e Modron (la grande madre celtica) compare per la prima volta nella
Vita Merlini di Geoffrey; fa parte di un gruppo di nove fate (a loro
volta di tradizione celtica) che vivono ad Avalon, e aiuta Artù a guarire
dalle sue mortali ferite. Nelle narrazioni successive Morgana è la
nipote o la sorellastra di Re Artù, con cui concepisce Mordred, e assume
connotati sempre più negativi, fino a diventare l'implacabile nemica
del sovrano, di Merlino e dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Nelle opere
tardo medioevali, dimenticate le origini semidivine, viene presentata come
una perfida seduttrice, tanto bella quanto malvagia: il prototipo, insomma,
della "donna sessuata" - la strega - aborrita e temuta
dalla Chiesa cattolica.
L'Artù esoterico
Alla figura di Artù sono stati associati significati simbolici fin
dagli inizi della diffusione della "Materia di Bretagna". Come il
biblico Mosè, il sovrano era simultaneamente Re, Sacerdote e Iniziato,
esperta guida politico-militare ma anche tramite tra il suo popolo e la divinità.
Era, dunque, il modello perfetto del reggitore di popoli, la versione terrena
del Re del Mondo di Agharti, e a lui si ispirò,
tra gli altri, Federico II Hohenstaufen, che edificò un palazzo ricco
di simboli ermetici, Castel del Monte, su ideale modello di Camelot. Attorno
al Parzival di Wolfram Von Eschenbach, il poema del ciclo arturiano
più ricco di spunti esoterici, siè sviluppata una vera e propria
scuola di pensiero che, soprattutto negli ultimi due secoli, ha scoperto collegamenti
strettissimi tra i miti di Artù e le religioni orientali. La triade
"Artù - Graal
- Parsifal " simbolizzerebbe la Trinità della Religione primordiale
che ricorre nelle varie religioni successive, compreso quella cristiana; in
particolare i miti di Artù avrebbero stretti collegamenti con lo Zoroastrismo,
la religione fondata da Zarathustra. Il nome stesso di Artù deriverebbe
da quello del Dio Solare Ahura Mazda, o da Atur
Gushnasp, il guardiano del "Fuoco Reale" della religione Zoroastriana;
il nome Parsifal sarebbe una commistione tra "Parsi" (la denominazione
tarda dei seguaci di Zarathustra) e "Fal", la "Pietra della
Conoscenza " della tradizione celtica. Il castello del Graal descritto da Wolfram sarebbe, inoltre, sorprendentemente
simile al complesso di Takht-I-Sulaiman, il principale centro del culto di
Zoroastro, edificato in Iran nel VI secolo a.C. Secondo Jesse Westin, autrice
di From Ritual to Romance (1920), Art ù non era semplicemente
un astratto simbolo solare, ma il sacerdote di un culto mitraico importato
in Inghilterra dai Romani.
Altre dottrine esoteriche prendono in esame la figura di Merlino; per alcuni
si tratta di uno dei "Superiori Sconosciuti" di Agharti disseminati sulla Terra: ad Artù, il suo
discepolo prediletto, avrebbe affidato il compito di portare avanti l'antica
tradizione magico-religiosa del leggendario regno sotteraneo. Per l'occultista
Dion Fortune, Myrddyn proveniva da Lyonesse, un insediamento realmente sprofondato
al largo della Cornovaglia, e da molti ritenuto una delle città di
Atlantide; dal
Continente Perduto aveva importato culti esoterici e superiori conoscenze
tecniche, diffusi poi tra i Celti dal discepolo Artù e dai suoi successori.
Lo Re Artù k'avemo perduto
Cavalieri siamo di Bretagna |
La poesia, dell'anonimo autore duecentesco che si firmava Gatto Lupesco, è
una delle scarse testimonianze letterarie della presenza fisica di Artù in
Italia. La leggenda di Art ù nell'Etna è riportata anche negli Otia
Imperialia dell'inglese Gervase di Tilbury (XII secolo), il quale l'aveva
appresa sul luogo intorno al 1190. Un servo del vescovo di Catania, inseguendo
un cavallo fuggito sulle pendici del vulcano, ritrova nelle viscere del monte
un meraviglioso palazzo ove Artù giace ferito; il Re bretone si è infatti
recato là per guarire le piaghe riportate nella battaglia contro il nipote
Mordred. In questo caso, dunque, la mitica Avalon si identifica con la Sicilia,
dove, con ogni probabilità, il personaggio di Artù era stato importato dai Normanni.
Tracce arturiane originali si trovano anche nella vicenda di San Galgano e
in alcune leggende a proposito del Graal. Testimonianze
di carattere architettonico (tutte curiosamente precedenti alla diffusione
della "Materia di Bretagna") si riscontrano, oltre che nel già
citato Duomo di Modena, sul portale della Cattedrale di Bari e nel mosaico
pavimentale della Cattedrale di Otranto. In quest'opera realizzata dal sacerdote
Pantaleone nel 1165, "Rex Arturius" cavalca un animale simile a
una capra, e affronta un gatto gigantesco.
L'abbondante letteratura arturiana della pe nisola - sia in traduzione, sia di
produzione originale - si ispira invece ai "canoni" francese e
inglese, con una predilezione per le vicende romantiche di Tristano e Isotta e
di Lancillotto e Ginevra. Dante Alighieri menziona Re Artù nel De Vulgari
Eloquentia (Arturis regis ambages pulcerrimae, "le bellissime
avventure di re Artù"), e, nell'episodio di Paolo e Francesca dell'Inferno,
riprende la sequenza del primo bacio tra Lancillotto e Ginevra, uniti dai buoni
uffici di Lady Galehaut (Galeotto). Il sottotitolo del Decamerone di
Giovanni Boccaccio è Prencipe Galeotto , mentre Petrarca scrive nel
Trionfo d'amore:
Ecco quei che le carte empion di sogni |